Sono stato invitato a parlare di questa bellissima chiesa in occasione dei festeggiamenti medicei che si svolgono annualmente: il tempio del SS. Crocifisso dedicato a S. Biagio Vescovo e Martire.
Devo subito premettere che purtroppo non dirò niente di più che non sia stato già detto prima di me, da personalità del mondo dell'arte e della cultura, ben più importanti e competenti. Il problema di fondo è che le fonti documentarie in nostro possesso sono poche e quelle che abbiamo non ci illuminano assolutamente sulla paternità di tale monumento e sulle sue vicende costruttive. Gli studi espressamente dedicati al tempio sono inesistenti.
Comunque cercheremo insieme di ricostruire l'excursus storico di questo monumento e le sue vicende legate alle vicende dell'intera comunità caldanese in rapporto al suo territorio.
Partiamo da una data certa come un punto fisso nel nostro itinerario: siamo al 19 agosto 1558; la Repubblica di Siena è caduta. Nel 1559 la pace di Chateau Chambresis decreta l'annessione della stato senese alla Signoria di Firenze che diventa Granducato; in quella data Marcello Austini (o Agostini, come citano gli autori) acquista le rovine del castello di Caldana dalla famiglia Bellanti senese. Tale documento, rogato, si conserva nell'Archivio di Stato di Siena.
Da questa data inizia la rinascita dell'antico castello e sicuramente la nostra chiesa non risale a prima di quella data.
Emanuele Repetti nel suo Dizionario storico-fisico della Toscana cita il castello di Caldana come sito "piccolo ... ma di notevole interesse storico". "E' un castello circondato di mura con tre baluardi e una sola porta, di forma quadrilunga diviso da tre strade parallele con un sottoborgo". Ciò è confermato anche dalle mappe del catasto Leopoldino, le più antiche esistenti che riproducono la pianta dell'abitato.
Il toponimo Caldana ha una sicura origine latina, forse Calidanae: il calidarium era il luogo delle terme così chiamato dai romani dove erano le vasche di acqua calda per le abluzioni, che insieme al tepidarium e al frigidarium costituivano il momento terapeutico dei bagni termali presso quell'antico popolo. Ciò è confermato dalla presenza, non più attiva, di un fosso, il Bagnaccio, di acque tiepide e leggermente solfuree. Del periodo buio alto-medievale nulla si conosce, si presume che la famiglia Aldobrandesca, dominante in tutta l'area sud della Toscana, dalle Contee di Sovana e Pitigliano, fino alla Maremma "al di qua del Fiume" - come cita l'Ademollo - fosse signora anche in Caldana insieme a Ravi e Giuncarico. Fu in questo periodo che avvenne l'incastellamento feudale da parte degli imperatori del Sacro Romano Impero agli Aldobrandeschi.
Un documento custodito alla [Biblioteca] Chigiana di Roma cita il castello di Caldana, ed è del 1039, come possedimento dei monaci dell'Abbazia di Sestinga, senza specificare se tale castello esistesse precedentemente; Sestinga, ora Badia Vecchia, era molto legata al culto di S. Guglielmo, non per niente, l'affresco del Nasini all'interno della chiesa [di S. Biagio] vuole ricordare tale devozione effigiando S. Guglielmo oltre che S. Biagio.
In seguito, nel XIII secolo, le fortune dei monaci erano in declino, come in molte altre Abbazie sparse nel territorio; di ciò approfittarono i Pannocchieschi di Massa Marittima che nel 1210 si impadronirono del Castello di Caldana e vi edificarono nuove fortificazioni.
Non si hanno altri documenti riferibili al XIII secolo.
Probabilmente a questo periodo deve essere ascritta la datazione dell'antica Pieve di S. Biagio, oggi adibita a Casa Canonica, nonché l'impianto delle fortificazioni del castello, tuttora esistenti e rimaneggiate nel XVI secolo. Non esistono a tutt'oggi documenti che possano chiarirci per una datazione più precisa di tale antica chiesa. Non ci resta che l'analisi stilistica delle strutture residue: il bel filaretto di conci squadrati della facciata inferiore dell'attuale casa Canonica, la stessa struttura absidale e l'impianto dei baluardi sul lato nordest, sono riconducibili a quel periodo e coincidono con le descrizioni che ne fa il Repetti: "Il fabbricato del castello è lungo braccia 192 e largo braccia 90 composto di due strade regolari ed un'altra lungo le mura castellane, la strada media è serrata a tramontana dalla facciata fatta da genio senese, dell'antica chiesa parrocchiale..."
Ancora un documento del 1762 dell'Archivio di Stato di Siena: "L'altra, poi, è un piccolo oratorio, parimenti dedicato a S. Biagio, che era la più antica Pieve avanti che fosse fabbricata la nuova e resta questa annessa alla Pieve dove a piacimento del pievano si celebra..." (l'annesso si deve intendere in senso amministrativo e non materiale, che farebbe individuare un locale annesso all'attuale come vecchia Pieve, che è sicuramente da escludere).
Attualmente la vecchia Pieve è adibita a casa Canonica per il Parroco. Recentemente è oggetto di adeguamento igienico - funzionale per le strette esigenze abitative.
Dagli atti conservati nell'Archivio della Soprintendenza dei Beni Ambientali e Architettonici risultano effettuati nel 1981 dei lavori di restauro alla facciata della casa Canonica, con intonacatura della porzione superiore con belle modanature e paraste in laterizio, frutto sicuramente di un rifacimento realizzato in occasione dei lavori di riqualificazione del Castello, seguita alla realizzazione della nuova chiesa parrocchiale. Gli stilemi fanno pensare al XVII secolo, comunque ad un'epoca successiva al Peruzzi e al Manierismo.
Non si può dire di più marcando qualsiasi riscontro documentario.
Nel 1981 fu pure consolidato il tetto e fu riaperta la cuspide della finestrina del terzo ordine della facciata.
Proseguendo nel nostro racconto, un documento conservato all'Archivio di Stato di Siena, datato 15 marzo 1328 descrive l'atto di sottomissione del Castello di Caldana a Massa Marittima insieme ai castelli di Gavorrano e Castel di Pietra. Caldana entra nella sfera d'influenza di Siena in occasione della congiura dei Massetani del 1330; sommossa prevenuta dal Podestà di Massa Marittima che recuperò tutti i castelli, tra cui Caldana, che parteciparono alla sommossa. Nel 1336 il nobile Ricciardello di Tancredi del ramo Pannocchieschi di Caldana e Gerfalco, diedi in dote alla figlia Bice un quarto del castello in occasione del matrimonio con Francesco Vanni Malavolti. In questo modo Caldana entra a far parte dei domini diretti di Siena, essendo i Malavolti una delle famiglie che governavano la città. Ci sono moltissimo documenti, conservati all'Archivio di Siena: convenzioni, pagamenti di censi, ed altre forme di contratto che testimoniano tale dominio.
Un documento del 1374 descrive l'occupazione dei Salimbeni, famiglia nemica dei Nove Governatori di Siena, del castello di Caldana. In seguito, Caldana passa in proprietà dello Spedale di S. Maria della Scala di Siena quale compenso per i prestiti non onorati della Repubblica, sempre più gravata dalle lotte, contro le compagnie di ventura, che Siena dovette subire parecchie aggressioni e fu più volte distrutta. Nel 1433 Caldana venne acquistata all'asta indetta dallo Spedale di S. Maria della Scala da Pietro Antonio di Mariano di Scarlino. I nuovi signori ricostruirono il castello, visto che troviamo Caldana negli elenchi delle fortezze private cui Siena imponeva il pagamento di dazi e contributi.
Fu in seguito nuovamente devastata nel 1455 da Iacopo Piccinino. In un atto rogato del 13 febbraio 1468 si legge che Antonio di Pietrino Bellanti compra la terza parte della fortezza (detta "distrutta" nel documento) da Mariano di Michele di Antonio di Scarlino. In seguito il Bellanti acquista il resto della fortezza insieme i castelli di Giuncarico e Colonna e la mantiene fino al 1483 quando fu decapitato dal partito dei popolari per aver sostenuto il partito dei Nove.
Siena in quegli anni è scossa da lotte fra fazioni politiche e Caldana fu di nuovo distrutta. Nello stesso anno, ritornato al potere il partito dei Noneschi, Caldana, benché distrutta, fu riconsegnata agli eredi del Bellanti, i quali, senza ricostruirla, la vendettero il 19 agosto del 1558, appunto, alla famiglia Austini.
Queste a grandi linee le vicende storiche di Caldana fino a quella data di importanza fondamentale nel destino del futuro tempio di S. Biagio, il monumento più significativo di Caldana.
Gli Austini ricostruirono il castello e vi ricondussero gli abitanti per ripopolare la fortezza. Sei anni dopo, nel 1564, Marcello Austini ottenne dal Duca Cosimo, del quale era devoto suddito, l'investitura e il titolo di Conte a favore di sé e dei suoi discendenti con giurisdizione civile criminale e mista.
Gli Austini inaugurarono il periodo più prospero della comunità caldanese: ricostruiscono le case distrutte e assegnano le terre ai coloni, previo pagamento di un equo terratico e danno l'uso gratuito di una casa ad ogni famiglia. E' presumibile che in questo periodo possa risalire la costruzione della chiesa.
Nella Storia Ecclesiastica della città di Grosseto di Francesco Anichini, documento del 1752 si recita tra l'altro: "Esistono due chiese con lo stesso nome, una più antica e una più moderna; quella moderna fu terminata nel 1575 e ha la facciata corniciata di travertino e nicchie, ha una sola porta sopra la quale si trova il rosone a vetrata [...] Manca completamente di campanile, all'interno presenta pilastri, archi e sette altari stuccati del 1678".
Un altro documento datato 1762, conservato all'Archivio di Stato di Siena, recita così: "La giurisdizione spirituale è del vescovo di Grosseto e dentro al recinto delle mura vi sono due chiese, una di queste è la pieve dedicata a S. Biagio, fabbrica assai grande e bella con pilastri, cornicione e facciata di travertino d'ordine dorico, vi è il fonte battesimale di marmo misto della cava [...] fu fatta fabbricare dalla famiglia Austini dopo molti anni al castello e però gli eredi ne godono il patronato [...] ivi vi sono sette altari".
E' da notare che nel 1762 gli eredi citati sono i Bichi di Siena. Un ulteriore manoscritto, il più antico che parla della chiesa è del 1677 e recita così: "Vi è la chiesa plebana, con facciata di pietra concia e vaso assai grande e largo di moderna architettura, ornato con vari fregi di pietra simile. Il fonte battesimale è di marmo di diversi colori. Tanto il marmo che l'altra pietra sono cavate da due cave poste in detta corte".
Questi che ho citato sono gli unici documenti che sono riuscito a reperire, che parlano della chiesa; è poco, ma un dato è certo: la chiesa esisteva già nel 1677 e l'Anichini cita la data del 1575 come data di ultimazione della stessa. Questa purtroppo non è una notizia verificabile: sembra che all'epoca della contessa Eleonora, moglie di Marcello Austini (siamo nella seconda metà del XVII secolo) la stessa Contessa ordinò dalla sua residenza austriaca di Innsbruck, dove era dama della Principessa Anna, futura moglie del re di Francia Luigi XIII, di bruciare sulla pubblica piazza del castello i documenti ritenuti inutili durante la revisione dell'archivio di famiglia.
Rifettiamo un momento su queste date: 1558 anno dell'acquisto del castello; 1564 anno dell'investitura a Conte e 1575 anno citato dall'Anichini come ultimazione della chiesa.
Facciamo ancora un ulteriore riflessione: osservando la chiesa nel contesto del resto dell'abitato salta all'occhio, a pensarci bene, il rapporto di qualità sovradimensionato che ha con il costruito circostante, allora ancora maggiore di oggi. Si potrebbe dire di essere in presenza di un fabbricato, come si può dire, un po' sopra le righe.
S. Biagio rappresenta in Maremma un caso, quasi un'anomalia: gli insediamenti che sono in Maremma sono tutti caratterizzati per le loro qualità di praticità, prosaicità, sono concreti, solidi, con pochi fronzoli, siano chiese o fortezze o miniere; gli stilemi dei quali, solo nel corso del tempo, hanno acquisito carattere e valenza artistica come testimonianze storiche. S. Biagio nasce, invece, già oggetto artistico fin dalla sua progettazione; è un'apparecchiatura scenica, simbolo di un periodo storico che in Maremma non è quasi mai rappresentato. Guardando la chiesa si respira l'aria delle corti di Roma e Firenze. E' evidente l'intento celebrativo: una piccola Pienza e una ancor più piccola Urbino.
Non ho citato a caso le due città, illustri esempi di cosiddette città in forma di palazzo, nate per volontà del principe e di una casata, piuttosto che sorte da istanze socio-economiche e opportunità geografiche.
La chiesa di S. Biagio si deve decifrare come una celebrazione delle origini di una nobile casata che diventa tale nel 1564 con l'investitura di Marcello Austini a Conte, e quindi si presume fatta dopo di ciò.
Ma gli Austini non sono, pur se potenti e introdotti a Firenze, i Piccolomini, né tantomeno i Montefeltro. Il tentativo di Caldana resta circoscritto in una dimensione quasi rurale, anche se il disegno e la mano sono quelle di un grande artista.
Facciamo un'ulteriore considerazione su queste date fisse: 1558, 1564, 1575. Caduta la Repubblica di Siena, Cosimo I riorganizza il Ducato con la ricostruzione di fortezze che fa progettare a grandi tecnici: Gerolamo Genga, Nanni Ughero e i Sangallo. Tutti tipici esponenti delle nuove generazioni, a metà tra la classica figura dell'umanista e quella nuova di tecnici specializzati (ingegneri - soldati) investendo degli oneri le famiglie fedeli.
A Roma un Medici ha occupato il trono pontificio fino a poco prima: Clemente VII muore ne '34. Papa Giulio III muore nel '55. Ci si chiede come può Caldana entrare tra questi grandi orizzonti. Certamente, geograficamente, è tra Roma e Firenze, ma certamente non è sulla via più breve tra Roma e Firenze.
A questo punto ci può venire incontro un elemento che fa parte più dell'aspetto economico che dell'arte. E' il momento che Firenze cede l'eredità del Rinascimento a Roma, che è la città artisticamente dominante del secondo Rinascimento. La famiglia Austini gode buoni uffici presso i medici, questa, tende a chiarire è solo un'ipotesi, non esistono documenti. L'esportazione a Roma del marmo Porta Santa, ampliamente richiesto per i cantieri del Rinascimento, così detto perché usato nella Porta Santa Giubilare della Basilica di S. Pietro, è citata in un documento: una lettera di Ippolito Austini, figlio di Marcello primo Conte di Caldana, Balì di Siena (il Baliaggio fu fondato dallo stesso Marcello come Cavaliere di S. Stefano), lettera a Federico Zuccari a Roma per pregarlo di procurare lo spaccio a Roma del marmo delle sue cave.
Forse, di rimando da Roma, la famiglia Austini ha avuto la possibilità di avere un progetto da parte di un architetto di grido, che lavorava a Roma o Firenze, per la propria chiesa celebrativa.
L'Ademollo dice che "i Chigi nel 1759 su ruderi del vecchio oratorio di S. Biagio costruirono la bella chiesa che vi si ammira anche oggi [...] con facciata in pietra concia e fregi simili e con un battistero di marmi indigeni di epoca recente; così il campanile a più ordini è di buona architettura e tutto arieggia la maniera del Vignola".
Tale data è da respingere, se non altro la cronaca dell'Anichini è del 1752, di 7 anni prima e la cita già esistente, il fonte battesimale è citato nel documento conservato all'Archivio di Siena del 1667 ed è un'ulteriore smentita; sappiamo che il campanile fu costruito dopo la visita di Leopoldo II nel 1828; in quanto alla presunta presenza di una Pieve più vecchia sul sito dell'attuale chiesa è da prendere con cautela. Solo la "maniera" del Vignola può essere una intuizione da prendere in considerazione per futuri studi.
Il prof. Mazzolai nel suo Storia ed Arte della Maremma parla della Chiesa Parrocchiale di S. Biagio che riecheggia nei partimenti architettonici della facciata e dell'interno i modi di Antonio da Sangallo il Vecchio.
Antonio da Sangallo il Vecchio (1455-1534), fratello del più famoso Giuliano, architetto al servizio dei Medici con i quali collaborò alla ricostruzione di molte fortezze nel granducato; sue sono la Villa di Poggio a Caiano e Santa Maria delle Carceri a Prato, ha lavorato per lungo tempo in collaborazione con il fratello che gli premorì nel '16; si differenzia da Giuliano per un'architettura più vicina al Bramante e Michelangelo; l'ignoto autore di questa nostra chiesa conosceva sicuramente il linguaggio michelangiolesco della Biblioteca Laurenziana.
Il monumento più importante lasciatoci da Antonio da Sangallo il Vecchio è il tempio di S. Biagio in Montepulciano realizzato fra gli anni tra il '18 e il '26, vero fratello maggiore di questo tempio di Caldana - di fratellanza almeno stilistica si deve parlare. Se analizziamo gli elementi costitutivi della facciata la trabeazione del primo ordine con l'alternanza classica di metoe e triglifi identici nel disegno a quelli del fregio interno del S. Biagio di Montepulciano, le nicchie con il motivo della conchiglia, motivo che proviene dalla pitturo - Piero della Francesca e Botticelli - con riferimenti esoterici, dei quali si tralascia in questa sede la discussione, sono identiche alle nicchie del tamburo della cupola del S. Biagio.
Chiunque ha messo mano all'esecuzione di quest'opera doveva conoscere perfettamente gli stilemi dell'arte classica antica: le trabazioni anche interne sono come quelle che troviamo nei templi greci di Paestum e Selinunte. L'interno denota una leggerezza quasi bruneleschiana con l'occhio tra gli archi e la trabeazione che appoggia giustamente sulle paraste, evitando di usare le stesse per sorreggere gli archi. Tali accorgimenti denotano una correttezza formale che già il Brunelleschi non dominava perfettamente, acquista con la maturazione e l'esperienza tale da discernere l'aspetto meramente formale ed estetico da un fatto strutturale quale può essere un sistema architravato che fa preferire lessicalmente la trabeazione all'arco che grava direttamente sulla colonna. Questa correttezza al limite della leziosità fa balenare aspetti manieristici.
D'altra parte la data del 1558, insediamento degli Austini, dice che Antonio da Sangallo è già morto.
A Roma il Pontefice Clemente VII muore nel 1534: Giulio de' Medici era figlio naturale di Giuliano ucciso nella congiura de' Pazzi. Secondo forma corrente fu affidato giovane ad Antonio da Sangallo perché lo tenesse in custdia. Quando divenne cardinale, Antonio realizzò per lui due grandi crocifissi lignei. Questi che ho illustrato sono tutti indizi che possono far propendere verso una attribuzione alla cerchia del Sangallo e aiuto; Baccio d'Agnolo e Tommasco Boscali di Settignano che fu sovrintendente alla fabbrica di S. Biagio di Montepulciano e realizzò la Canonica nel 1595 su disegno di Antonio, quindi molto dopo la morte dell'artista.
Se prendiamo per buona la data del 1575 dell'Anichini, come data di completamento del Tempio, siamo dentro i tempi a tutti gli effetti.
Peraltro altri indizi stilistici ci dicono forse di una esecuzione più tarda rispetto ad un ipotetico disegno autografo del Sangallo: uno sono le orecchiette sul portale centrale di intonazione manieristica; l'altro è l'appoggio dello stemma della casata sul timpano. Lo stemma di casata con l'apparecchiatura decorativa di corollario che lo sostiene sono elementi indipendenti dall'unitarietà stilistica della facciata, ma significativi perché presumono contemporaneità con l'esecuzione della stessa. Le forme morbide, curvilinee del fregio, se è contemporaneo al resto della chiesa, sembrano un elemento che fa propendere verso un'esecuzione pi tarda di quanto il disegno della facciata voglia far intendere.
A questo si può collegare il discorso precedente sull'aspetto celebrativo delle origini per dare alla fine del XVI secolo una probabile datazione.
Quanto al fatto che potesse esistere una chiesa nello stesso sito, preesistente a questa, nulla si può dire. Per certo la costruzione è impiantata sopra un altro manufatto che presenta caratteri di unitarietà stilistica: lo testimoniano i fondi, gli immensi cantinoni voltati che si prolugano oltre il sedime della chiesa. Il fatto poi che manca completamente un posteriore della chiesa fa pensare ad un'addizione di stile unitario ad uno pre-esistente.
Parlando del Vignola (1507-1573), altro architetto citato dagli studiosi, questi ha lavorato prevalentemente nella cerchia della corte pontificia: le sue opere più importanti sono Villa Giulia a Roma insieme all'Ammannati e al Vasari; Villa Farnese a Caprarola già iniziata da Antonio da Sangallo il Giovane. L'opera più importante è la chiesa del Gesù a Roma che riunisce lo schema a pianta centrale rinascimentale con lo schema medievale della navata longitudinale. Pur nell'estrema leggerezza della trattazione del S. Biagio qui a Caldana balugina una certa freddezza, una ricerca della perfezione della maniera antica che potrebbe far pensare ad una mano del genere. Gli stessi elementi detti poc'anzi, il succedersi degli ordini, solo due in questo caso: dorico e ionico, l'aspetto formale dell'interno con quei sei arconi che stavano a contenere sei altari come delle pseudo-cappelle non fanno escludere anche questa ipotesi.
Meno probabile è l'identificazione fatta rispetto a Francesco di Giorgio Martini. Tale indicazione sembra un po' azzardata; l'artista è troppo prematuro, muore nel 1507, rispetto alle date viste poc'anzi. Certamente si riporta una presenza di Francesco di Giorgio nelle vicinanze: a Follonica e ai Muracci, vicino a Giuncarico. Tale indicazione comunque meriterebbe un maggior approfondimento da parte degli studiosi.
Passando a descrivere l'interno, questo presentava sette pale d'altare dipinte in tela relative a sette altari dedicati all'Immacolata Concezione, S Gerolamo, S. Francesca Romana, S. Giuseppe, la Madonna del Carmine, S. Carlo Borromeo e S. Maria Maddalena. Sull'altare maggiore vi è un affresco che rappresenta il SS. Crocifisso, S. Biagio e S. Guglielmo attribuito a Giuseppe Nicolò Nasini morto a Siena nel 1726. Il crocifisso ligneo è di scuola napoletana. L'affresco fu restaurato dalla Soprintendenza nel 1970.
Dopo l'avvento degli Austini non si hanno notizie di grandi sconvolgimenti: nel 1672 per il matrimonio di Anna con il Marchese Baldassare Bichi, il feudo passa ai Bichi che ebbero dal Granduca rinnovato il feudo e il titolo di Marchesi. L'altra figlia di Baldassare sposa un Chigi e il feudo passerà in seguito a questa famiglia per accordi tra la parentela. In questo periodo le soppressioni dei diritti feudali sotto la Reggenza aprono una lunga serie di vertenze tra i proprietari e i coloni con il risultato che Caldana alla fine del '700 era tornata in uno stato di semiabbandono.
Il Granduca Pietro Leopoldo nel 1789 acquistò dal feudatario l'intero territorio di Caldana per elargirlo, dopo la liberazione del terzo del prezzo, agli abitanti di Caldana. Da quel momento l'economia caldanese ricomincia a fiorire e a riprendere le coltivazioni, furono impiantati vigneti e s'incrementò la produzione cerealicola.
Un importante documento del 1828 ci illustra la visita che Leopoldo II fece a Caldana il 3 dicembre di quell'anno, durante un viaggio verso il Padule. A Caldana risiedevano in quel periodo 424 abitanti. "Leopoldo - così narra la cronaca fatta dal cappellano Francesco Sestini - venne a rendersi conto di persona delle gravi condizioni in cui versava il monumento, tanto che fu chiuso al pubblico". Si dice che anche un fulmine contribuì al dissesto. A seguito di tale visita fu elargita la somma di £ 7.314 per i restauri più urgenti.
Sempre dal documento si apprende che manca il campanile, perciò la comunità decide, a proprie spese, di costruirlo con il doppio scopo di dotare di campane la chiesa e nel contempo realizzare un rafforzamento del lato della chiesa verso la scarpa, medante l'accostamento del corpo murario del campanile alla fiancata priva di contrafforti. Non fu impresa facile: "Le quali fondamenta [del campanile] - dice il testo - sebbene per quanto si facesse non fossero potute trovare nel suolo, che quanto più si scavava, altrettanto mancava di sodo, vi fu tuttavia supplito con grossi tavoloni di quercia". Si cita anche l'abbattimento, per volere del vescovo diocesano di allora, dell'altare originario per sostituirlo con uno cossiddetto alla Romana.
Si parla anche di un vano ricavato dalla parete di fondo "da avervi sufficiente per potervi officiare". La cronaca termina con l'indicazione della sostituzione del vecchio pavimento con un'impiantito a quadroni di terracotta; purtroppo non ci dice nulla di come era il vecchio pavimento.
Nel gennaio 1855 fu fatto installare un orologio sul campanile a spese della popolazione per la somma di £ 700.
La cronaca infine fa un accenno alla sanguinosa guerra di Crimea e alla pestilenza di colera che ne seguì. Siamo ormai alle porte dell'Unità d'Italia.
Dai documenti in possesso dell'Archivio della Soprintendenza si possono determinare le ultime vicende della chiesa e i restauri cui è stata sottoposta in questo ultimo secolo. Restauri a volte filologicamente corretti a volte, purtroppo, meno.
In un elenco di edifici monumentali del comune di Gavorrano del 1901 è citato il tempio di S. Biagio in "buono stato di conservazione", cita l'altare maggiore e il fonte battesimale "in marmo persichino" di Caldana.
In un documento agli atti datato 14 marzo 1936, la Soprintendenza approva una perizia compilata dall'Ing. Ganelli per lavori di consolidamento e sistemazione delle coperture. E' allegata alla lettera una interessante relazione che descrive le condizioni della chiesa dopo i danni causati da un "ciclone - dice il testo - nel gennaio 1936: nel sopralluogo si è riscontrato che la copertura della chiesa è parzialmente caduta a causa della rottura di una capriata, che i muri sotto tetto, alti m 2,50 sono in parte franati, che i muri frontali e posteriori della chiesa tendono a ruotare all'infuori".
Quindi, già a quella data si comincia a parlare dei problemi della facciata.
Il documento prosegue dicendo che la caduta della capriata non ha provocato danni all'interno della chiesa protetta dalla robusta volta in mattoni. I muri di sottotetto furono in parte demoliti e ricostruiti come si può leggere anche oggi dalla tessitura muraria. Si rivela che le coperture sono in tegole marsigliesi e si auspica, con l'occasione dei lavori, il rifacimento con coppi ed embrici, più consoni al decoro della chiesa. Si propone anche incordatura sommiale con trave in cemento armato, lungo i muri perimetrali.
Nel 1959 si hanno documentazioni di varie corrispondenze tra mons. Capaccioli e la Soprintendenza per le tinteggiature interne e lo spostamento dell'altare e la sua ricollocazione. In una lettera si minaccia la chiusura al culto della chiesa a causa delle condizioni di estremo degrado della pavimentazione (quella in cotto realizzata dopo la visita di Leopoldo II). In quegli anni si registrano una serie di incomprensioni tra la Soprintendenza e la Parrocchia.
Nel 1963 una lettera firmata da don Arturo Parri chiede un intervento per le infiltrazioni d'acqua nella chiesa dove piove all'interno e si parla ancora della sostituzione dell'altare.
Il 23 agosto 1963 fu approvata una perizia di £ 4.000.000 per la sistemazione delle coperture. I lavori vennero effettuati nel 1965, con l'occasione si sostituì l'altare con quello attuale e fu rifatto il pavimento, donato da un fornitore locale, che purtroppo non rende giustizia all'eleganza della chiesa. Una successiva lettera del 1967 informa su alcuni lavori di manutenzione al tetto, da poco restaurato, che la Soprintendenza consiglia di fare con maestranze locali. Con l'occasione si parla anche dei dissesti dei locali in aderenza alla chiesa adibiti a sacrestia e deposito di arredi sacri.
Nel 1975 si riaffaccia il problema del distacco del parameno di facciata. Una lettera datata 10 ottobre dell'allora vicario don Ugolino Ugolini fa presente all'ufficio "che esistono lesioni sulle pietre della facciata con pericolo di caduta i frantumi che ne obbligano l'immediata chiusura".
Nel 1980 si posizionavano delle biffe per controllare le lesioni. Nel 1983 la Soprintendenza approva i lavori di consolidamento dei locali in aderenza alla chiesa adibiti a sacrestia e deposito. Si tratta di consolidamento e rifacimento dei solai e delle coperture. Tale manufatto appoggia probabilmente su insediamenti più antichi, come sembra indicare il toponimo via del Palazzetto e le sottostanti cantine che arrivano fin sotto tali locali con uno stile unitario.
Finalmente nel 1984, modificata il 5 giugno 1968, viene approvata dalla Soprintendenza una perizia del Provveditorato alle Opere Pubbliche, che curò il consolidamento della facciata. Tale consolidamento è stato realizzato mediante micropali di 100 mm di diametro armati con tubo di acciaio di 60,3 mm di diametro e di spessore di 8 mm finestrati e valvolati per tutta la lunghezza della facciata del tempio e il perimetro del campanile. Successivamente sono state effettuate cuciture armate con barre d'acciaio a intervalli di 3 metri per tutta l'altezza della stessa, con sigillatura di fori con malta colorata del paramento esistente.
Infine gli ultimi lavori sono del 1998 ed hanno riguardato il consolidamento del campanile e della cella campanaria, a spese della Curia Vescovile. In tale occasione si confermò quanto trovato nei documenti e si verificò dall'analisi strutturale che la muratura era posteriore ed appoggiata al fianco della chiesa.
Il resto sono fatti di oggi.
Oggi, che fortunatamente abbiamo la possibilità di poter ammirare tale insigne monumento, con l'auspicio di poterlo mantenere tale per le generazioni future insieme al patrimonio culturale, storico ed umano che, ribadisco, è fatto soprattutto di piccole cose, anche di strutture povere e d'uso quotidiano che però testimoniano l'identità culturale di un'intera società.